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Deficit d’attenzione e iperattività: l’aiuto del neurologo

Il deficit di attenzione e l’iperattività, disturbi riassunti anche con l’acronimo ADHD, sottendono una patologia evolutiva dell’autocontrollo, che comporta nel soggetto interessato la difficoltà nel mantenere alto il livello di concentrazione e nel controllare il proprio livello di attività. Il concreto aiuto di un neurologo può essere molto utile in questo caso.
Generalmente, questo problema tende a derivare da un’incapacità del soggetto di provvedere autonomamente alla regolazione del proprio atteggiamento in funzione del trascorrere del tempo, di un obiettivo da raggiungere o del contesto ambientale che lo circonda.
E’ opportuno rimarcare, inoltre, che l’ADHD non è un disturbo da inquadrare come una normale ed inevitabile tappa del processo di crescita, né la risultanza di un’errata educazione, ma una patologia vera e propria.I segnali che possono suggerire la presenza del deficit di attenzione si riscontrano quando si palesa un’evidente difficoltà del paziente a prestare attenzione o a proseguire la stessa operazione per un periodo di tempo relativamente esteso. In questi casi si riscontra anche un atteggiamento tendenzialmente sbadato, distratto e disorganizzato. Durante le lezioni scolastiche, i bambini affetti da ADHD manifestano inoltre un apparente disorientamento rispetto al contesto che li circonda, soprattutto in tutti i casi in cui sono chiamati a svolgere operazioni noiose o ripetitive.
I bambini iperattivi, invece, tendono a manifestare la loro condizione con azioni eccessivamente esuberanti, con la tendenza ad interrompere in maniera frequente il proprio interlocutore e a parlargli con un tono di voce particolarmente elevato, o giocando in modo rumoroso o irruento.

Questa sindrome colpisce mediamente una percentuale compresa tra il 3 ed il 7% dei bambini in età scolare ed il 4,5% dei soggetti adulti. Il deficit d’attenzione e l’iperattività affliggono soprattutto la popolazione di sesso maschile.

ADHD negli adulti

Attualmente si stima che una media del 45/50% dei pazienti afflitti da ADHD in età infantile tenda a prolungare, anche solo parzialmente, gli effetti di questa sindrome anche in età adulta. Si stima, in particolare, che il numero di adulti affetti dalla patologia sia inferiore al 3,5% della popolazione complessiva.

Quali sono le cause principali

Non ci sono ancora studi scientifici in grado di fornire un quadro chiaro ed inequivocabile circa l’origine del deficit di attenzione e dell’iperattività: l’ipotesi più accreditata è che questo disturbo abbia per origine diverse concause, a loro volta assoggettate ad una predisposizione genetica e a fattori di carattere ambientale.
Il disturbo, quindi, ricorre più facilmente nelle famiglie nelle quali risulta accertato almeno un caso clinico di questo genere: si stima che in queste circostanze il rischio di riscontrare nuovi casi di ADHD nelle nuove generazioni tenda a quintuplicare.
Alcune ricerche suggeriscono inoltre, quali fattori di rischio, l’eccessivo consumo di zucchero, un uso smodato di tv, tablet e computer e fattori familiari e sociali sfavorevoli.

Tra le implicazioni della malattia possono figurare difficoltà sociali che possono ripercuotersi sulla carriera scolastica dei più giovani o su quella professionale dei pazienti adulti. I soggetti affetti da ADHD possono inoltre incappare in problemi relazionali con gli altri individui e nel rischio di subire danni fisici dovuti all’impulsività con la quale agiscono. Si stima che i pazienti adulti possano inoltre risultare più soggetti alla dipendenza da alcool e droghe o a disturbi collaterali come ansia, tachicardia, insonnia, disturbi dello spettro autistico, disturbi della condotta, dislessia, epilessia, depressione, bipolarità e disturbi oppositivi provocatori.

Manifestazione della sindrome

Sia nei soggetti in età infantile che negli adulti, l’ADHD tende a manifestarsi attraverso alcuni segnali forti, quali evidente difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, iperattività ed impulsività.

Il ruolo del neurologo

La visita neurologica rappresenta il primo strumento diagnostico mediante il quale risulta possibile fare luce sulla comparsa della patologia e mediante il quale definire un percorso terapeutico efficace.
Pur non essendo del tutto possibile prevenire la malattia, se non evitando durante la gravidanza di sottoporsi a rischi quali l’abuso di alcol o la permanenza in ambienti particolarmente inquinati, la visita neurologica può aiutare a captare per tempo tutti i sintomi e a tracciare una terapia tempestiva.
Con la psicoterapia è possibile trattare una vasta gamma di casi clinici, smorzando con efficacia buona parte degli effetti causati dalla sindrome. Tra le tecniche più comuni figura la terapia cognitivo-comportamentale, che si fonda su un tipo di approccio in grado di aiutare il paziente a modificare il proprio approccio verso operazioni quali l’organizzazione e la programmazione di una serie di compiti, la concentrazione sul lavoro o la gestione di stimoli emotivamente stressanti. Questa terapia aiuta il soggetto affetto da ADHD anche ad accrescere le proprie facoltà di autocontrollo mediante il meccanismo della ricompensa: ogni qualvolta il paziente riesce a controllare la propria rabbia o la propria esuberanza, o a pensare logicamente prima di concludere un’azione, dovrà essere ricompensato o auto-ricompensarsi.
Questa tecnica “abitua” il soggetto, mediante lo stimolo dettato dalla ricompensa, a controllare il proprio assetto emotivo in maniera costante e decisa, riducendo così le conseguenze dannose potenzialmente legate alla sindrome che lo affligge.
Questo genere di terapie trova il proprio completamento nel coinvolgimento costante non solo del neurologo, ma anche della famiglia del soggetto affetto dal disturbo dell’attenzione o da iperattività.